Donald Trump, ha vinto il presidente di Big Tech

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L’elezione di Donald Trump non è un fulmine a ciel sereno, a dispetto del wishful thinking al di qua dell’Atlantico. Un ruolo fondamentale nella campagna elettorale lo hanno avuto le società tecnologiche, con massima espressione nell’endorsement non solo economico ma veramente politico di Elon Musk, che si è comportato negli ultimi mesi da vero tessitore di relazioni economiche per gli Stati Uniti

Non solo Elon Musk

La Silicon Valley, tradizionalmente considerata democratica, ha mostrato il suo lato più rosso nelle elezioni appena concluse.

Marc Andresseen e Ben Horowitz, partner di Andresseen Horowitz, VC tra i più importanti in US che ha investito in società come Airbnb, Coinbase, Facebook, Github, Instagram, Lyft, Oculus, Pinterest, Skype e tante altre, hanno espresso il sostegno a Donald Trump dopo tanti anni di sostegno a candidature dem come quelle di Bill Clinton, Al Gore, John Kerry, Barack Obama e Hillary Clinton.

Larry Elison, founder di Oracle, e Peter Thiel, Venture Capitalist ex Paypal, hanno rinnovato il sostegno, non sono esattamente dei trumpiani dell’ultima ora e hanno rinnovato il loro sostegno anche nella campagna elettorale 2024.

Davanti alla possibilità concreta di una vittoria di Trump si sono sapientemente risposizionati anche altri esponenti del settore tecnologico:

Jeff Bezos avrebbe imposto la linea editoriale neutrale al suo Washington Post, Mark Zuckerberg non si è espresso, deponendo evidentemente l’ascia di guerra anche con Musk. Stessa cosa per Satya Nadella di Microsoft che è molto interessato anche alla sorte di OpenAI

Sundar Pichai e Tim Cook avrebbero già contattato il presidente eletto in vista dei prossimi step fondamentali per Alphabet (Google) ed Apple che ad oggi trovano nelle normative imposte da Cina e Unione Europea un ostacolo importante.

Profits, Profits, Profits

La proposta politica di Donald Trump è stata sicuramente allettante per le società tecnologiche. La proposta di corporate tax al 15% contrapposta alla proposta di aumentarla al 28% rappresenta una differenza di miliardi di dollari ogni anno. E la prospettiva di una maggior conflittualità con Europa e Cina è altrettanto interessante per cercare di spingere i propri interessi contro le regolamentazioni che questi due blocchi pongono alle big tech.

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